IMMAGINARIAMENTE
Presentare un servizio complesso e delicato come quello rivolto a persone che al “problema in più” della tossicodipendenza associano un' ulteriore grave sofferenza psichica non può prescindere da una chiarificazione dei termini in questione.
Il rischio, altrimenti, è quello di assecondare passivamente la "cultura dell’etichettamento" e la sua subdola capacità di recintare in un ghetto persone in difficoltà.
Il rischio è, in altri termini, quello di far rientrare dalla finestra ciò che faticosamente eravamo riusciti a cacciare dalla porta. La tossicodipendenza, infatti, nella nostra esperienza di operatori, si è sempre più rivelata come un problema dell’uomo, un male oscuro frutto di inadempienze prevalentemente educative, rinunce e fallimenti che, inesorabilmente, chiamano in causa responsabilità familiari, politiche e sociali, comprese, ovviamente, quelle della persona tossicodipendente. Certamente un problema non (o almeno non solo) sanitario. Recintare pertanto il tossicodipendente nel luogo della “diagnosi", per di più “doppia”, ha il sapore di una regressione culturale e scientifica, ma soprattutto umana e sociale.
Di fatto, ogni persona, al di là dei segni di disagio che esprime, in fondo, richiede sempre e comunque un incontro competente, fatto di ascolto, empatia, solidarietà.
In tale prospettiva, quella di ripercorrere la rappresentazione della follia nel corso dei secoli scorsi ci è sembrata una buona idea.
Lo abbiamo fatto ripartendo dal pregevole studio di Michel Foucault sulla storia della follia nell’età classica, per arrivare, integrando la sintesi del suo lavoro, a leggere, in chiave analoga, la produzione artistica contemporanea.
Oltre ad allargare la visuale di quanti si interrogano sul fenomeno della follia, il prendere “visione” di come il tema della follia abbia attraversato il mondo dell’arte, ce ne restituisce una dimensione culturale, capace di favorirne una lettura più coinvolgente. Coinvolgente nel senso letterale del termine, di “fenomeno che non può essere percepito come altro da sé”.
IMMAGINARIAMENTE è quindi il titolo di un processo che non è solo quello della produzione dell’arte figurativa, immaginifica, ma anche di un mutamento culturale che interpreta la follia.
In ogni caso le restituisce una dimensione culturale da cui non può prescindere ogni operatore che con la follia lavora o magari crede di lavorare, solo per mestiere, tutti i giorni.
Mario Scannapieco
Responsabile caos centro studi e formazione de La Tenda