venerdì 27 marzo 2009

COSA BOLLE NELLA PENTOLA... ITALIA? LA "FOTO" DEL CENSIS

Qual è l’immagine dell’Italia di oggi? Cosa è possibile dire sul mondo del lavoro, della scuola, del sistema di welfare etc.?



Giorgio Napolitano



il 42° raporto Censis

Una delle voci più autorevoli e aggiornate nel campo è il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, un istituto di ricerca socioeconomica fondato nel 1964. Ecco cosa trapela dall’ultimo Rapporto Censis (il 42°) che puntualmente ogni anno fotografa noi italiani e le trasformazioni che stiamo attraversando. Il Rapporto Censis è diventato, nel tempo, uno strumento indispensabile per tutti coloro che non solo desiderano essere aggiornati sulle direzioni di sviluppo del paese, ma anche avere a disposizione una lettura originale ed attenta sui fenomeni in corso.
Il Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese nasce dall'esigenza di rendere disponibile uno strumento di analisi e di interpretazione dei fenomeni, dei processi, delle tensioni e dei bisogni sociali emergenti, un impegno assunto annualmente dall’Istituto a partire dal 1967.

L’anno appena trascorso ha visto un nuovo tema farsi spazio nelle menti degli italiani, e forse lo sarà anche in futuro: crisi.




Cosa pensano gli italiani della crisi?



Che tipo di ripercussioni il terremoto dei mercati finanziari potrebbe avere sulla vita degli italiani?
Il 71,7% sostiene che potrà avere ripercussioni dirette sulla propria vita
Il 28,3% dichiara che ne uscirà indenne



Quali gli effetti della crisi?



Il 37% ritiene che la crisi potrebbe migliorarci, costringendoci a rivedere i nostri difetti
Il 30,2% dichiara più cinicamente che, come sempre, ci scivolerà tutto addosso;
il 32,8% crede, più pessimisticamente, che la crisi farà emergere egoismi e interessi personali esasperati

Ciò che preoccupa di più tra i possibili effetti è il rischio di dover rinunciare in futuro al tenore di vita raggiunto (il 71,1% degli italiani).

Per analizzare più da vicino il fenomeno abbiamo che per le famiglie effettivamente interessate da fattori critici lo scenario rimanda la seguente fotografia: l’11,8% delle famiglie italiane (circa 2,9 milioni) possiede azioni e/o quote di Fondi comuni, soggette all’alta volatilità del mercato borsistico; l’8,2% (circa 2 milioni) ha un mutuo per l’abitazione, ma solo 56.000 hanno saltato qualche pagamento e 193.000 hanno molta difficoltà a pagare le rate (250.000 famiglie nel complesso); il 12,8% (circa 3,1 milioni) usufruisce del credito al consumo.
Tra le strategie per affrontare il difficile momento, il 33,9% degli italiani dichiara che intende risparmiare di più, cautelandosi rispetto agli imprevisti; il 25,2% sembrerebbe non avere altra strada che un significativo taglio dei consumi; in pochi si dichiarano confusi e incerti sul da farsi (9,6%), oppure orientati a lavorare di più (7,4%) o a barcamenarsi cercando di spendere di meno (8,6%); solo il 3,8% dichiara che sarà costretto a intaccare i risparmi messi da parte e lo 0,5% che si indebiterà.




Gli italiani, il lavoro e la crisi



Per l’ambito lavorativo si conferma l’aumento degli impieghi atipici, che oggi si attestano all’11,9% dell’intera occupazione. Ma il lavoro a tempo indeterminato rimane la modalità contrattuale privilegiata come garanzia di lavoro (è l’opinione del 42,5% degli italiani) e quella che dà maggiore soddisfazione (66,1%).
Il lavoro a tempo determinato, le prestazioni occasionali e le collaborazioni sono ritenute utili per offrire occupazione dal 41,9% degli italiani, ma se si parla di soddisfazione del lavoratore la percentuale crolla al 12,9%.
Dal 2004 al 2007 le persone che non cercano lavoro perché temono di non trovarlo sono aumentate del 22,8%; coloro che non hanno un lavoro e che sono disponibili a lavorare sono diminuiti del 23,5%. Cresce cioè una sorta di scoraggiamento nei confronti della possibilità di occuparsi che coinvolge quasi 1 milione 400 mila persone.
E cosa ci dice il mercato del lavoro? Nei primi due trimestri del 2008 si registra un aumento delle persone in cerca di occupazione pari al 20,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La mancanza di lavoro colpisce soprattutto soggetti precedentemente occupati (+27,9%) e persone in cerca di prima occupazione (+5,8%).
Dal 2004 al 2007 il tasso di attività femminile è passato dal 50,6% al 50,7%, il tasso di occupazione dal 45,2% al 46,6%, il tasso di disoccupazione dal 10,5% al 7,9%. Nel 2007 si è registrato un aumento della frequenza dei conflitti di lavoro (passati da 545 casi a 654) e del coinvolgimento dei lavoratori (416.249 nel 2006, 882.097 nel 2007, con 6 milioni 322 mila ore di lavoro perse rispetto a 3 milioni 144 mila dell’anno precedente).




Bossi Fini

La metamorfosi italiana

L’Italia sta attraversando in questi ultimi anni una vera e propria metamorfosi: la presenza numerosa e attiva di nuovi cittadini che, pur nella diversità di provenienze, culture e linguaggi, hanno assunto ruoli, comportamenti e percorsi di vita non dissimili da quelli degli italiani.

Solo vent’anni fa gli stranieri residenti erano appena lo 0,8% della popolazione, nel 1998 erano 1 milione di persone, mentre oggi sono ben 3,4 milioni. Ci avviamo a raggiungere la soglia del 6% della popolazione complessiva, ma nel Centro-Nord siamo già oltre.

Si affermano modalità di integrazione tipiche del nostro modello di sviluppo: nella dimensione familiare e in quella micro-imprenditoriale.

Oggi sono 1.367.000 le famiglie con capofamiglia straniero (il 5,6% del totale); aumentano i matrimoni con almeno uno sposo straniero (oltre 34.000, pari al 14% del totale); cresce il numero delle nascite di figli di stranieri (64.000, l’11,4% del totale dei nati in Italia, erano 33.000 nel 2003); la fecondità delle donne straniere (2,50 figli per donna) è doppia di quella delle italiane (1,26) e si attesta su valori simili a quelli dell’Italia del baby boom.

Il numero di alunni stranieri presenti nelle scuole cresce al ritmo di 60/70.000 l’anno; appena dieci anni fa erano circa 60.000 (lo 0,7% del totale), oggi sono più di 500.000 (il 5,6% del totale, che sale al 6,8% nella scuola primaria).

Nel 2007 le micro-imprese gestite da immigrati hanno raggiunto le 225.408 unità, con 37.531 imprese di extra-comunitari avviate nel corso dell’anno (+8% rispetto all’anno prima). Inoltre siamo in presenza di una imprenditorialità emergente dei migranti.

Gli stranieri titolari d’impresa sono 290 mila, pari al 19,2% degli occupati di nazionalità estera (in pratica, un lavoratore migrante ogni 5 svolge un’attività autonoma) e all’8,4% di tutte le imprese attive.

I comparti prevalenti sono commercio (38,4%) e costruzioni (31%, con un incremento del 128% tra il 2003 e il 2007). Tra il 2006 e il 2007 il numero di imprese con titolare straniero è cresciuto del 10,2% e l’incremento complessivo nel periodo 2003-2007 è stato del 65,5%. Ma permangono alcuni ostacoli allo sviluppo di élite imprenditoriali straniere capaci di collocarsi su segmenti di alto livello, come la scarsa dimestichezza con gli strumenti finanziari e creditizi italiani.

Circa il 30% degli imprenditori stranieri non ha rapporti con le banche (il 52% nel commercio), soltanto il 15% investe con continuità, il 27% lo fa solo occasionalmente, solo il 6% ha rapporti con due o più banche. Ma sono meno dell’8% gli imprenditori stranieri (5% tra quelli italiani) che incorrono in situazioni di sofferenza, con 6 o più rate scadute e non pagate.

"Il sociale"


Che tipo di immagine ci rimanda il “sociale”? Sono oltre 11,4 milioni le famiglie con figli in Italia, con una riduzione di quasi il 2% dal 2001, mentre un calo più brusco riguarda quelle con 2 figli (-4,9%) e quelle con 3 o più figli (-5,3%). Spicca invece il balzo della tipologia più vulnerabile, le famiglie monogenitoriali (+11,3%). Le famiglie con figli fino a 3 anni sono 1,6 milioni, il 14% circa del totale di quelle con figli. La capacità ricettiva dei servizi per la prima infanzia (pubblici e convenzionati) può essere stimata intorno all’11% della domanda (oltre il 9% negli asili, il 2% negli altri servizi) con oscillazioni regionali molto ampie. Considerando gli asili nido comunali, la spesa media sostenuta dai comuni per ciascun bambino è poco meno di 600 euro al mese (valore che oscilla tra 890 euro in Valle d’Aosta e 283 euro in Basilicata). La quota a carico delle famiglie è pari mediamente al 40% (con un massimo del 56% in Basilicata e un minimo del 17% in Campania). La spesa media mensile sostenuta dalle famiglie è di 285 euro al mese (406 euro in Trentino Alto Adige, 118 euro in Calabria). Il 23% delle domande presentate finisce però in lista di attesa. Considerando l’affido non inferiore a tre ore quotidiane, le madri lavoratrici con figli fino a 3 anni ricorrono nel 52,3% dei casi ai nonni, nel 27,8% agli asili pubblici o privati, nel 9,2% alle baby sitter, nel 7,3% all’altro genitore, nel 3,4% a parenti e amici. Quindi le soluzioni familiari coprono il 63% delle esigenze. Il 28% delle madri lavoratrici rinuncia all’idea di mandare i figli all’asilo: il 19,5% afferma che non ci sono posti disponibili, il 17,4% che non ci sono asili nel comune di residenza, per il 7,1% gli orari sono scomodi, per il 4,8% l’asilo è troppo distante.

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