IL DOVERE DELLE DONNE
Ma perché dopo tante conquiste civili, dopo tanto progresso, dopo tanta crescita culturale ancora si registrano numerosi episodi di violenza sulle donne?
Evidentemente non sono bastate campagne di sensibilizzazione, interventi della magistratura, leggi sempre più severe, dibattiti e spot, per stroncare un fenomeno che ancora un secolo fa era percepito come normale, o comunque inevitabile.
Di certo gli episodi di violenza ai danni delle donne, adulte o minori, sembra non conoscano tregua.
Se è vero, infatti, che negli ultimi anni sono, sembra, calati di numero, essi sono ancora troppo frequenti. Comunque, se pure se ne verificasse uno solo all’anno, non per questo sarebbe meno terribile.
Il fatto è che, al di là dei numeri, il fenomeno segna un “ritardo di umanità” ormai insopportabile.
Ma i casi di violenza sulle donne da parte di anonimi aggressori o immigrati balordi sono percentualmente molto inferiori rispetto ai casi di violenza esercitata tra le mura domestiche e quindi non denunciati.
Infatti, molto spesso, l’abuso, la violenza non vengono affatto denunciati, magari per il timore di essere troppo esposte al giudizio sociale o di partecipare a processi che mettono sul banco degli imputati proprio chi ha subito violenza.
Ma la mancata denuncia dimostra, anche, quanto profonda e diffusa sia la pseudo-cultura su cui questo fenomeno si regge.
Di fatti spesso la violenza non viene riconosciuta come tale. Quasi che il maschio, quando è padre, o marito, o fratello ritiene di avere il diritto “naturale” di proprietà sulla donna , e le donne, non tanto raramente, condividono tacitamente tale atteggiamento, considerandolo, paradossalmente, come segno di attenzione e interesse per la propria persona.
Per contrastare realmente la violenza sulle donne occorre allora condurre una battaglia non solo con strumenti di natura giudiziaria o intensificando sistemi di protezione poliziesca, pur necessari, ma anche promuovre nelle donne una maggiore consapevolezza dei loro diritti (ma anche del loro dovere) di pretendere il rispetto della loro “pari dignità” anche nella vita ordinaria.
Basti pensare, o meglio, guardare tanti programmi televisivi dove le donne, nella migliore delle ipotesi, vengono trattate da oggetto di conquista, se non di puro consumo, o all’analfabetismo sentimentale che oggi sembra caratterizzare i rapporti tra ragazzi e ragazze.
Insomma le donne debbono forse convincersi oggi ancor più di potere/dovere esercitare la loro cittadinanza attiva, come mogli, madri, figlie, lavoratrici, ecc, in tutti i ruoli che occupano.
Un atteggiamento da mettere in atto contro ogni tentativo di svalutazione o disistima che tante volte, però, proviene dalle stesse donne.
Il fenomeno di cui stiamo parlando, quindi, non va affrontato solo con strumenti difensivi. Esso affonda le sue radici in una millenaria tradizione di sottomissione della donna che spesso, senza rendersene conto, condivide la logica di dominio su cui, in ultima analisi, si fonda l’episodio, finale di brutale, ottusa, violenza
Evidentemente non sono bastate campagne di sensibilizzazione, interventi della magistratura, leggi sempre più severe, dibattiti e spot, per stroncare un fenomeno che ancora un secolo fa era percepito come normale, o comunque inevitabile.
Di certo gli episodi di violenza ai danni delle donne, adulte o minori, sembra non conoscano tregua.
Se è vero, infatti, che negli ultimi anni sono, sembra, calati di numero, essi sono ancora troppo frequenti. Comunque, se pure se ne verificasse uno solo all’anno, non per questo sarebbe meno terribile.
Il fatto è che, al di là dei numeri, il fenomeno segna un “ritardo di umanità” ormai insopportabile.
Ma i casi di violenza sulle donne da parte di anonimi aggressori o immigrati balordi sono percentualmente molto inferiori rispetto ai casi di violenza esercitata tra le mura domestiche e quindi non denunciati.
Infatti, molto spesso, l’abuso, la violenza non vengono affatto denunciati, magari per il timore di essere troppo esposte al giudizio sociale o di partecipare a processi che mettono sul banco degli imputati proprio chi ha subito violenza.
Ma la mancata denuncia dimostra, anche, quanto profonda e diffusa sia la pseudo-cultura su cui questo fenomeno si regge.
Di fatti spesso la violenza non viene riconosciuta come tale. Quasi che il maschio, quando è padre, o marito, o fratello ritiene di avere il diritto “naturale” di proprietà sulla donna , e le donne, non tanto raramente, condividono tacitamente tale atteggiamento, considerandolo, paradossalmente, come segno di attenzione e interesse per la propria persona.
Per contrastare realmente la violenza sulle donne occorre allora condurre una battaglia non solo con strumenti di natura giudiziaria o intensificando sistemi di protezione poliziesca, pur necessari, ma anche promuovre nelle donne una maggiore consapevolezza dei loro diritti (ma anche del loro dovere) di pretendere il rispetto della loro “pari dignità” anche nella vita ordinaria.
Basti pensare, o meglio, guardare tanti programmi televisivi dove le donne, nella migliore delle ipotesi, vengono trattate da oggetto di conquista, se non di puro consumo, o all’analfabetismo sentimentale che oggi sembra caratterizzare i rapporti tra ragazzi e ragazze.
Insomma le donne debbono forse convincersi oggi ancor più di potere/dovere esercitare la loro cittadinanza attiva, come mogli, madri, figlie, lavoratrici, ecc, in tutti i ruoli che occupano.
Un atteggiamento da mettere in atto contro ogni tentativo di svalutazione o disistima che tante volte, però, proviene dalle stesse donne.
Il fenomeno di cui stiamo parlando, quindi, non va affrontato solo con strumenti difensivi. Esso affonda le sue radici in una millenaria tradizione di sottomissione della donna che spesso, senza rendersene conto, condivide la logica di dominio su cui, in ultima analisi, si fonda l’episodio, finale di brutale, ottusa, violenza
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