venerdì 31 dicembre 2010

LA COMUNICAZIONE SOCIALE... DI ANGELO SCELZO

A proposito di … comunicazione sociale, riportiamo integralmente la riflessione sviluppata da Angelo Scelzo, sottosegretario pontificio per la comunicazione sociale del vaticano, nel corso del seminario di apertura del nuovo ciclo di incontri seminariali.

La relazione del nostro ospite sul tema della comunicazione sociale, ha infatti offerto spunti di estremo interesse anche per la corretta lettura dei Seminari de la Tenda a Fieravecchia. Oltre a rappresentarne un apprezzato riconoscimento, le parole di Angelo Scelzo sono un prezioso incoraggiamento a proseguire nella direzione intrapresa ed anzi a svilupparla verso obiettivi di ulteriore radicamento nel tessuto della nostra città

LA COMUNICAZIONE SOCIALE

“Ho partecipato a questo seminario soprattutto per ascoltare e per rendermi conto di ciò che avviene e soprattutto di ciò che è La Tenda. Ho sentito che uno dei problemi era la percezione che se ne è avuta finora come Centro esclusivamente dedicato a fronteggiare il fenomeno della tossicodipendenza.

Ora se stessimo di fronte una azienda normale ci troveremmo di fronte un deficit di comunicazione. Cioè all’evidenza che non si è riusciti a trasmettere alla città il fatto che La Tenda fosse qualcosa in più di un Centro per la tossicodipendenza. E in questi casi le grandi società ricorrono alle campagne pubblicitarie, alle promozioni per far conoscere meglio se stessi. Ecco io credo che noi andiamo direttamente al cuore del problema se diciamo che la scelta de La Tenda sia stata del tutto diversa, cioè abbia puntato al cuore della comunicazione nel senso di fare in modo che la comunicazione diventasse comunità, un fattore, uno strumento per creare la comunità.

Perché che cosa è tutto questo insieme di organismi, di associazioni, di realtà presenti sul territorio cattoliche ma anche laiche se non il tentativo di mettersi in rete di relazionarsi, di operare insieme per il bene comune? E quale può essere il ruolo de La Tenda se non quello di essere al centro di questo processo, di porsi anche fisicamente al cuore di una città per proporsi come una realtà capace di aggregare, come una comunità capace di stare insieme per sé ma di aprirsi alla città e di aprirsi in modo tale che la città possa sentire questa presenza e possa giovarsi di questa presenza e possa ricevere in cambio una serie di provocazioni di iniziative, di eventi comunicativi che non hanno solo il timbro dell’informazione ma hanno il carattere vero della comunicazione come elemento fondamentale di costituzione della comunità?

Questo mi sembra il vero tema, il vero cuore del problema. E questa mi sembra anche l’essenza di una realtà come quella de La Tenda che vuole aprirsi nel campo della comunicazione e che di fatto si è già aperta.

Ho ascoltato con molto interesse tutta la serie di iniziative in questo settore, ho potuto vedere prima, già a casa su internet, ma anche attraverso i prodotti cartacei di questa comunicazione.

Mi veniva in mente che la comunicazione che oggi è così invasivamente percorsa da una serie di mezzi, dalla cosiddetta cross-medialità, per cui oggi l’apparecchio televisivo non è solo un televisore, il telefonino non è solo un apparecchio ricetrasmittente ma rappresenta una concentrazione di mezzi, di strumenti che possono essere tante cose insieme. E allora mi veniva in mente che proprio in questo momento, proprio quando il sistema è al culmine di questa esplosione di mezzi della comunicazione con il suo invasivo protagonismo noi dobbiamo ricordarci, e queste esperienze sul territorio ce lo ricordano, che il vero fine della comunicazione non sono i mezzi.

I mezzi sono appunto strumenti per arrivare alla comunicazione. Il contenuto della comunicazione è il messaggio, che noi forse noi in qualche modo in questa invasività di new-media (come vengono definite queste tecnologie sempre più avanzate e sofisticate) forse perdiamo di vista.

Ecco, una presenza reale concreta di una realtà che si incarica soprattutto di guardare in faccia le persone, di ospitarle, di confrontarsi vis-à-vis, di mettere in concreto le proprie esperienze e di riversarle poi sul territorio mi sembra un fatto estremamente significativo, non di controtendenza.

Di fatto, nessuno vuole andare contro a quest’ondata certamente inarrestabile e in parte benefica dei nuovi mezzi, non si tratta di andare in controtendenza ma si tratta di mettere cuore anche a questa realtà perché questa realtà di cuore ha bisogno, perché in se stessa l’invasività dei mezzi di comunicazione questa grande meteora, questa grande informazione globale, questa informazione così invasiva ha bisogno di un’anima, tanto più in questo momento quando vengono fuori non solo i grandi aspetti positivi.

Soprattutto, come è stato già sottolineato, oggi possiamo essere informati minuto per minuto secondo per secondo su tutto ciò che avviene nel mondo in tempo reale e siamo, di fatti, nel tempo dell’informazione reale, però questo non basta perché a corredo di questo tipo di informazione esistono alcuni rischi che noi stiamo sperimentando. Ne segnalo alcuni.

Uno dei rischi che mi sembra di dover sottolineare è proprio il fatto che l’insieme di questi mezzi si sta dimostrando che non sempre riescono ad essere in grado di trasmettere anche la complessità di ciò che avviene nel mondo, questi mezzi sono paragonabili in qualche modo a ciò che il famoso Zygmunt Bauman il saggista polacco definisce la società liquida, noi ci troviamo di fronte a una serie di strumenti, i new-media che sono un po’ la componente liquida della comunicazione.

Ognuno di questi mezzi ha in sé una propria avidità che talvolta riesce ad attrarre a sé contenuti che vengono frullati, sminuzzati attraverso mezzi diversi. E ci troviamo di fronte a un dato che questa liquidità, questa informazione liquida che passa da un mezzo all’altro viene ad assumere la forma del recipiente in qualche modo viene deformata, in qualche modo non corrisponde più alla complessità che comunque è richiesta alla comunicazione in sé.

È richiesta perché la comunicazione ha un obiettivo, deve avere l’obiettivo di dover diventare fattore di comunità non elemento dispersivo. Vorrei semplicemente per spiegare meglio questo rischio riferirmi ad un fatto che viene citato nel libro che è uscito in questi gironi di Papa Benedetto XVI in riferimento al famosissimo discorso di Ratisbona che infiammò il mondo che è stato al centro di una crisi così grande e di un dibattito vastissimo. Il problema qual era? Una lezione, una grande lezione anche di taglio dottrinale in qual momento si trovò ad essere necessariamente sintetizzato, perché si trattava di un viaggio del Papa tradotta in dieci righe delle agenzie. In effetti queste nuove forme di comunicazione non sempre possono garantire una complessità che c’è e che non si può negare. Ovviamente i giornalisti che cosa vanno a prendere di un discorso così complesso? Dieci righe: il famoso passo che si riferiva a Maometto. E quello incendiò il mondo, incendiò la comunicazione. Con il tempo si è riusciti a vedere che ciò che il Papa voleva dire non era certamente quello che veniva detto e quello che causò la crisi.

Ma questo ha significato da una parte certamente un momento di crisi dell’informazione anche vaticana ma dall’altra parte un fattore di crisi anche per i nuovi mezzi di comunicazione sociale, che assicurano certamente una grande tempestività dell’informazione ma non assicurano allo stesso tempo, allo stesso momento, proprio per la loro natura, la capacità di tradurre correttamente la complessità dei contenuti.

Volevo segnalare semplicemente questo esempio che riguarda molto più da vicino noi, questa sera, il fatto che noi ci troviamo oggi qui a discutere è un vento di comunicazione: è un fatto decisivo per la comunicazione perché ci pone in relazione.

I fatti raccontati dalle une e dalle altre persone che si sono avvicendate qui sono fatti di comunicazione perché significa che questo tipo di informazione può essere trapiantata nel cuore della città. Se questa realtà e questo stesso locale, al centro della città, noi potessimo immaginarlo come un manifesto, come un titolo fissato su una ipotetica prima pagina che racconta Salerno, La Tenda oggi avrebbe il proprio spazio il proprio titolo. È un elemento di comunicazione in sé e questo elemento di comunicazione può diventare tanto più importante quanto più sviluppa questi mezzi. Una volta dicevamo i mezzi poveri oggi non sono poveri perché tutti utilizziamo internet ma comunque sono mezzi che sono a sussidio della comunicazione, sono strumenti.

Il problema è di tenere sempre i riflettori puntati sul messaggio sul fatto che noi vogliamo dialogare che La Tenda vuole aprire un confronto e vuole mettere in rete tutte le risorse che la città possiede, che può andare a cercarle, che può andargli incontro, ma lo fa con un elemento particolare che è quello di andare a cercarle a piedi, pestando il territorio non solo collegandosi virtualmente.

La virtualità, i mezzi delle nuove tecnologie sono e restano uno strumento questa realtà è una realtà decisiva proprio oggi nel momento in cui la comunicazione, proprio per questa sua enorme invasività rischia di creare il paradosso: tanta più informazione abbiamo, tanto più cresce il rischio di una incomunicabilità.

Non è vero che tante più informazioni possediamo tanto più cresce la nostra capacità di comunicazione. Basta in questo nostro incontro che squilla un telefonino e c’è un’interferenza, c’è una comunicazione che viene ad essere recisa. Ci sono molte più interferenze oggi nella comunicazione che non in passato e proprio questa invasività dei mezzi che va non tenuta a freno ma certamente valutata, messa nel conto, inquadrata in una giusta ottica di una nuova realtà che chiede certamente l’attenzione a mezzi più sofisticati ma chiede ancora di più la necessità di riflettere, riflettere sempre di più intorno a che cosa questa comunicazione sta facendo entrare nelle nostre case e a quale tipo di cultura, a quale società, a quale tipo di relazioni rimandano.

Perché cambiano le relazioni con le nuove realtà di comunicazione. Il computer, lo sappiamo, spesso ormai è lo strumento di casa che relega il ragazzo o la ragazza nella propria isola all’interno della stessa casa come un tempo il televisore a mezzogiorno o a cena disturbava quello che poteva essere il dialogo, la comunicazione all’interno della famiglia.

Sono elementi che mi permetto di segnalare non perché ripeto bisogna starne alla larga ma perché bisogna tenerne conto proprio per fare in modo che invece questo tipo di comunicazione basato sul rapporto personale possa essere più efficace, possa essere più libero, possa essere più incisivo e possa portare più frutti al bene comune della città verso la quale noi ci rivolgiamo”.

Angelo Scelzo - Sottosegretario pontificio per la comunicazione sociale del Vaticano

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